lunedì 19 marzo 2012

Ora sorrido..  marzo 2012

Dedicato a tutti gli esseri senzienti

La Via dell' Armonia

Chouwa no michi

La via del guerriero

 Anno 2007

Ho letto che la Via del guerriero è la Via della morte, o meglio l’accettazione della morte ad ogni istante.
Ho 42 anni !
Sono nel cammino della Via da 26 anni !


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Ancora ricordo, come se fosse ieri, lo sgomento che provai, nella consapevolezza di questa idea.
Scrivo idea, perché nessuno di noi, ha una esperienza diretta della morte, se non in  un’astrazione più o meno elaborata, della totale cessazione dei fenomeni.
E a rigor di logica occorre fare una distinzione riconoscendosi in una domanda fondamentale.

Chi è che muore ! ?

Quando provai il terrore della morte, ero un’ adolescente.
Spaventato, ingenuo e lontano, lontanissimo da quel pellegrinaggio che mi avrebbe portato sino a questo preciso istante.

La Via è senza inizio, e senza fine !

In questi lunghi anni, sono state tante le esperienze vissute.Vissute principalmente nell’estremo; come se attraverso i limiti imposti dalla follia, dalla droga, e da gli altri innumerevoli saperi cercassi una saggezza trascendente.
Mi ritengo fortunato, perché in questo estremo sono state numerose le volte in cui ho rischiato la salute mentale, e fisica.
Fino al giorno in cui, in me accadde un evento.

La mente che cerca il risveglio.

La Bodaishin - 1-  una volta risvegliata non ci abbandona più!
In realtà fino a quando, in virtù di questa condizione mentale, non iniziamo a elaborare cosa siamo,come nasce la sofferenza, e la sua estinzione; siamo schiavi dei nostri condizionamenti, delle nostre coercizioni e delle nostre ferite di non amati.
Ma a tal proposito vorrei aggiungere che le quattro Nobili Verità -2- sono la Verità fondamentale di ogni esistenza.
Anche la più felice.
Sono stato sposato, sono padre, ho un lavoro, e in fin dei conti la mia vita ora, dopo anni di struggimenti emotivi, di povertà e patimenti sia fisici che spirituali scorre in un percorso di serenità.
Ma non è questo il punto.
Ho deciso di scrivere queste pagine, perché attraverso la scrittura, sussiste la possibilità della trasmissione, della riflessione e la concreta opportunità di elaborare in maniera verbale la complessività  della vita  vissuta fin’ ora.
Lungi da me l’idea della perfezione, riconosco, l’orgoglio, la permalosità e quel troppo facile entusiasmo che spesso mi trasporta in situazioni poco chiare e a volte sofferenti.

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Dunque  chi è che muore !?

Se dicessi l’io muore, darei una risposta affrettata, priva di verità.
Perché questo ?
Perché l’io è solamente una costruzione mentale: Ha la sua funzionalità; fondamento essenziale dell’equilibrio, ma di fatto è insostanziale, e se lo definiamo come struttura permanente e definita, allora posso dire che il piccolo ego    non esiste.
E come scriveva il maestro Dogen-3- nello Genjo Koan-4- raffrontando il buddismo ad uno studio dell’io, con l’ intento di separarci dal nostro egoismo, il cammino che il monaco soto-zen -5-  compie nella sua strada, è un percorso di introspezione e osservazione continua dei propri processi mentali.
Dunque la Via è una rinuncia. Rinuncia,  che necessita  fiducia.
Fiducia , nel Buddha,-6- nel Dharma-7- e nel Sangha.-8-
 D'altronde se non fossero presenti la compassione, la fiducia, l’amore, la forza e il sostegno del triplice sigillo, come potremmo mai iniziare la perdita di noi
 stessi ?
Come potremmo realizzare il non realizzabile, l’armonia, la non dualità tra la dualità, la fluidità dei cinque skanda,-9- ( i cinque aggregati che costituiscono l’essere umano  ) la loro vacuità, la nascita, crescita e morte di tutti i fenomeni ad ogni respiro ?
Eppure la Via e la Verità sono presenti in ogni attimo. Come del resto la vita e la morte. Noi stessi nel nostro organismo siamo costituiti da elementi minerali, chimici, e sostanze inorganiche.
Dove è allora la distinzione tra la vita e la morte ?
Allora ad ogni attimo ogni cosa è così com’è.
‘’Essere tempo ’’ insegnava Dogen.
Noi, e ogni aspetto dell’esistenza dharmica, il dolore la morte, la vecchiaia, ma anche la gioia, un bel tramonto, il mare , le stelle i fiori siamo pieni e dunque vuoti della Natura di Buddha. In definitiva posso concludere che l’attuazione di questa verità, e l’abbandono dell’ego è lo scopo ultimo del  monaco soto-zen,
inteso anche  come un  guerriero di pace.
Ma la dualità, la discriminazione nei e dei fenomeni, cioè la mente che separa, divide, desidera e rifugge, è anch’essa Dharma del Buddha.
             
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Nella primavera dell’ anno 2006 mio figlio ha rischiato di morire.
Nei giorni successivi all’operazione il sorriso di Buddha, si è attuato in me. Difficile, se non impossibile da descrivere come esperienza mistica, è avvenuta in un momento di esclusiva intensità e  disperazione.
Ero nella negazione dell’ esperienza, e la ragione della mia pena risiedeva nella dualità.
Trasportato dal giudizio, di un io che separa, e divide tra bene e male,stavo aggiungendo sofferenza ad una angoscia già tanto intensa da sostenere. Così illuminando l’illusione della scelta, nella quale risiedeva il dolore, ho lacerato nella dualità l’ uno delle esistenza.
A quel punto Simone era libero di vivere la sua vita,qualsiasi essa fosse.
Non lo stavo trattenendo più.

Mio padre è morto dopo 12 anni vissuti in ospedale, allora ero un ragazzo, e solo adesso mi rendo conto che la sua vita, compresa la sua morte, sono state un dono.
Allora non lo capivo, adesso realizzo che la Via è stato un dono di mio padre.

Quest’inverno è morto un mio amico, ma forse dovrei scrivere  un fratello.
Marco l’ ho curato, amato, seguito  fino alla fine.
Non so esattamente come ho agito.
Ma ho lasciato che le parole, i gesti i sutra-10- recitati, uscissero da soli, in maniera spontanea dalla saggezza profonda.
Prima di morire mi ha detto: ‘’ Massimo sei grande. ‘’
Ma penso che lui sia stato grande e non io.
Chi è morto ?  Come è morto ?

E’ morto un guerriero .

Anche mia zia è deceduta in queste settimane. E curandola amorevolmente, ho toccato con mano, gli eventi degli ultimi sei mesi.

Nascita, malattia,vecchiaia, morte.

Gli eventi sono chiari; e il costante mutamento, o la costante trasformazione dei fenomeni è la Natura di Buddha.
Armonizzarsi a ciò equivale ad attuare la buddhità: Realizzarla nel corpo, attraverso l’ addestramento delle arti marziali, e nella pratica di zazen-11- è solo una piccola goccia nell’ oceano.
La pratica quotidiana, nella non differenziazione degli elementi, nella non scelta, nell’ abbandono è realizzare la Natura di Buddha.
Anche non avendo la necessità di identificarmi, in me esiste un’ attitudine.
E’ chiaro che la  nostra identità è parziale,  devo quindi chiamarla attitudine.
Ritengo in ogni caso che la realizzazione della Via comporti una attività riconducibile allo spirito del guerriero. Ma non mi riferisco ora, a colui che combatte e uccide. A colui che vince.
Mi riferisco a quella capacità che forgiata dal coraggio, dalla dignità, dalla pazienza, e dalla forza, fa scaturire in noi la possibilità dell’ abbandono. E’ questo il motivo che ha dato il titolo  al libro. ‘’ Via dell’ ‘’Armonia’’.

Armonia nel mutamento, pur riconoscendo in essa le qualità del dualismo, abbracciando le sue contraddizioni, spirito e materia, maschile e femminile, e si è completi sol quando lasciamo che le loro particolarità si realizzano totalmente.

Il monaco guerriero.

Nel sutra del diamante,-12-  Buddha rispondendo a,- Subhuti - 13- insegna che se in noi è presente un idea di personalità, di esseri da salvare, nozioni e deformazioni di io, non siamo dei Bodhisattva. -14-
Tuttavia  tale visione è la visione dei molti, anche tra quelli che praticano la Via. Purtroppo per quelli che siedono in zazen per ore, per anni, e partecipano a sesshin, e ritiri lunghissimi, questa conoscenza attuata rimane la più ostica.
 Ma  anche per coloro che sono in un percorso di arti marziali, sviluppando il corpo, l’ego, e la competizione, non esiste nessuna consapevolezza della perdita. Nasce  in essi come risposta, la rigidità nelle forme, nelle regole e nel monachesimo coatto.
A volte abbiamo necessità di esprimere con le parole questa attuazione. Ma le parole contengono proprio per loro natura la dualità, che non esprime l’ esperienza.
Parliamo per comunicare, per insegnare, e ascoltiamo l’ insegnamento dei grandi Patriarchi.
Questa modalità è attività dell’ essere umano. Bisogna però convincersi attraverso l’ osservazione, che il Dharma si concretizza nel silenzio.
I grandi fenomeni celesti, la nascita e scomparsa di intere galassie, il movimento della terra intorno al suo sole, ma anche la crescita di un fiore, di un albero, il nostro sviluppo corporeo…tutto avviene nel silenzio.
Essi non hanno bisogno di approvazione, di riconoscimento, di bisogni.
Essi sono così com’è.

Nel silenzio, nell’ abbandono esiste l’ armonia.

Nell’  armonia allora possiamo udire una voce.

La voce del silenzio !

Immobilità nel mutamento, e tutto ciò che rimane è un respiro.
L’armonia, allora si esprime naturalmente con la pratica quotidiana, la consapevolezza nei gesti, senza l’aggiunta del mentale volitivo.
Quando impariamo la lezione e non mi riferisco ad un apprendimento intellettivo, possiamo dire:
Quando ho fame mangio.
Quando ho sete bevo.
Quando ho sonno dormo.
Nella semplicità di queste parole esiste la conoscenza diretta della Via, poche frasi in cui è racchiusa la profonda saggezza dei Patriarchi.
Esse esprimono la totalità dell’ essere .

Non solo !

In esse è racchiuso l’ intero insegnamento spirituale del Buddha. Nondimeno
mi rendo conto mentre scrivo queste pagine, che il tentativo di descrivere la realtà è ostacolato dal tentativo stesso.


Inoltre l’ esperienza mi induce a considerare la paura,come il maggior demone lungo la Via.

Perché dunque la paura è così determinante allo sviluppo dell’ essere umano ?

Bisogna fare una considerazione e analizzare la paura per come si esprime in noi, considerando innanzi tutto la sua capacità paralizzante.
Avendo come presupposto la cognizione riferita non alle piccole fobie, ma alla mancata possibilità di evolvere, tra le emozioni più distruttive e nocive, è la responsabile della maggior parte della nostra sofferenza.
E una rilevante porzione dell’ umanità abbandona la propria esistenza, lasciando che  essa si consumi alla maniera di  un sogno. Anzi un incubo.
Chiusa nel corpo,  bloccata nelle emozioni e nella crescita spirituale, preferisce seppellire la vita nell’ abisso del dolore, della menzogna e della falsità,
piuttosto che aprire la propria ferita, vedere in profondità le radici del pus per curarsi, scegliendo come controparte il compianto, la malattia, e la meschinità. E’ doveroso a questo punto una considerazione, che lasci in noi lo spazio per una domanda, su cosa abbandonare.
Può sembrare un passo indietro smisurato, su quanto scritto fin’ora, ma è la verità. E  per rendersene conto, basta guardarsi attorno, perché il cammino spirituale o Via del guerriero è un viaggio arduo e selettivo.
Non voglio con questa affermazione esprimere sentimenti di razzismo spirituale, o concezioni di una razza eletta.
Come monaco zen sono lontano da una visione razzista e selettiva,anzi attraverso la compassione metto in atto l’ ascolto profondo, accedendo alla comunione con  l’altro,  ma sono consapevole che nessuno può aiutare nessuno, e  se la partecipazione sussiste,  è sempre in una relazione umana delimitata.

Perché è così ?

Perché ognuno di noi, nelle condizioni karmiche-15- in cui si trova, ha in mano la propria vita, stabilendo così il determinismo come individuo e  l’armonia nel tutto che inter-agisce. Ma dal momento che l’armonia è amore, e l’amore si esplicita nelle relazioni; se non fossimo iniziati dall’ amore, lasciando  la sua capacità di trasformazione libera di manifestarsi con tutta l’ energia che dispone, saremmo costretti ad una vita perenne nel bisogno.
Quando incontriamo l’ altro, esso ci permette di entrare in contatto con i nostri territori sconosciuti. E ciò conferma, l’amore nelle relazioni !
Per questo  ne abbiamo paura. Nonostante ciò, esso ci fornisce una mappa del luogo laddove molti  paesaggi ci sono ignoti, ma se non siamo nelle condizioni di  procedere oltre, come possiamo realizzare la nostra individualità nell’ universo ?
Amore per il nostro dolore, per le vittime innocenti di un mondo corrotto, amore per le nostre tradizioni, per i nostri padri, per la terra in cui viviamo.
Amore per quelle radici che sono comuni a tutti gli uomini e che Jung-16- le ha collocate in quell’ immenso serbatoio che è l’ inconscio collettivo.
E infine, ma non ultimo per importanza amore per la solitudine.

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Da ragazzo ne ero terrorizzato.

L’ idea di rimanere solo con i miei demoni e fantasmi, mi impediva qualsiasi situazione nella quale si presentava la mancata vicinanza di qualcuno.
Ora invece nella solitudine mi sento conforme  all’ ordine cosmico.
Certo un tessuto di amicizie è fondamentale. Intrecciare rapporti di qualità nel lavoro, con i propri cari è la trama che fa da fondamento al nostro equilibrio, ma qui mi riferisco ad una diversa concezione della solitudine.
Nella solitudine spirituale la legge è questa:

Stare nel mondo senza appartenere al mondo.

A prima vista può sembrare un atteggiamento di fuga, di reattività necessaria per difendersi dal mondo esterno, ma non è così !
Quando un guerriero in forza del suo cammino realizza l’ armonia, sceglie la solitudine, perché in essa riconosce se stesso in relazione con l’ universo.

Egli non è solo

Il vento, l’ acqua , il fuoco, la terra, il cielo risuonano in LUI.
E lui attraverso l’ attuazione in sè del Dharma, vede se stesso nei fiori, nella luna, nelle stelle, nei fenomeni cangianti della natura, e nel silenzio immobile dello Spirito. 



                                                              
                                                           Il granello di polvere
                                                           Non può posarsi su nulla.
                                                           Cosa può essere lordato allora ?
                                                           Ad ogni istante,
                                                           Ogni cosa è perfetta. 


 Zazen

Quando sediamo in zazen, la postura del corpo è il fondamento dello zazen stesso.
Le ginocchia posano in terra, il perineo posa sullo zafu ( cuscino ), le spalle sono aperte, il mento rientrato prosegue la verticalità della colonna vertebrale, la lingua si posa dolcemente sui denti superiori, tra il palato e gli incisivi, e le mani sono posate nella mudra universale sotto l’ ombellico, formando un ovale tra i pollici verticali che si toccano dolcemente e gli indici.
Gli occhi sono semichiusi e volti verso il muro che abbiamo di fronte con una inclinazione di 45° verso il basso.
Attraverso la postura di zazen realizziamo l’ impermanenza, usando il corpo come strumento per questa unione.
Normalmente, come concezione universale, noi occidentali siamo portati a considerare lo spirito in una dimensione distaccata da quella corporea, in zazen invece concretizziamo questa unità fondamentale.
Non più trascinati da una corrente che ci trasborda in ogni direzione, l’ equanimità ha modo di crescere e condurci alla calma.
Questo atteggiamento favorisce il retto sviluppo della condizione umana.
Liberi dall’ attaccamento, e dal rifiuto dei fenomeni; ben radicati in noi, nella postura fisica dello zazen realizziamo che non c’è nulla da realizzare.

Il non raggiungimento.

Nulla da afferrare, ma solo l’ espressione cosmica del così com’e’!
Allora anche l’ illuminazione, smette di essere una meta, e con esso tutte le illusioni a riguardo.

‘’ Nessuno ‘’ approda a nulla.

Anche se questo nulla non è  il niente nichilista, ma un termine che indica il tutto.

L’ equanimità a cui ho fatto riferimento poco fa è una benedizione per noi.
Molto spesso nel quotidiano, quando siamo più distratti e lo stress è accumulato nella mente e nel corpo, con afflizioni psichiche e corporee, non siamo molto centrati.
Ecco allora che lo sviluppo di un comportamento retto, come l’ equanimità ci permette di lasciare la presa.

Tornando a noi stessi. La pazienza, e la consapevolezza, ci riportano al qui e ora, permettendoci così di trovare il giusto modo di essere nella Via.
Equanimità dunque non solo in relazione a noi stessi, ma anche verso gli altri.
Nel  Buddismo, il Buddha, il Dharma e il Sangha, sono i tre gioielli verso i quali facciamo voto di preservarli nel giorno della nostra ordinazione come monaco o Bodhisattva.
In realtà sono nel loro insieme la stessa espressione di un unico corpo.
Il Buddha come maestro.
Il Dharma come suo insegnamento, ma anche come verità ultima dei fenomeni.
Il Sangha come comunità fraterna che pratica nella Via l’ insegnamento del Buddha.
Purtroppo molto spesso accade che le dinamiche inter-relazionali precludono al reale sviluppo dell’  individuo.
Per troppo tempo la struttura piramidale ha sostituito quella circolare.
Non voglio negare il ruolo fondamentale del Maestro e né tanto meno di alcune figure all’ interno dello zen, almeno quello europeo, ma il più delle volte l’ egoismo, il desiderio di potere, la mancata apertura verso se stessi, e verso gli altri, hanno creato non pochi problemi.
Nella struttura circolare, ognuno ha la stessa posizione dell’ altro.
Si riconosce l’ esperienza, la saggezza di ogni individuo, il valore e le attitudini personali, e da ognuno nasce il contributo perché questo cerchio sia sempre più forte e grande.
Tutto ciò richiede esperienza, introspezione, ascolto profondo, forza coraggio, ed è proprio all’ interno di ciò che le persone con più esperienza danno la loro disposizione.
Questo riferimento è legato a coloro che organizzano, propongono, incoraggiano e donano completamente se stessi alla Via.
Il guerriero è il primo.
Ma non a ricevere elogi. Bensì il primo a mostrare con il suo esempio la strada da percorrere.
Quando abbiamo lasciato la presa, in maniera totale, cioè con la totalità del nostro essere, siamo come dei bambini che stanchi di un gioco,lo lasciano cadere, tornando alla spontaneità e freschezza che gli si confà.

Entriamo e usciamo nei fenomeni, senza più classificarli.
I compartimenti stagni con i quali dividevamo la vita scompaiono, lasciando in noi fluidità e trasparenza.
Ecco allora che tutte le identità, i ruoli, il nascere e morire dei cinque aggregati, non sono pesi, strutture, sovrastrutture cristallizzate nel corso degli anni, ma elementi con i quali possiamo solamente giocarci.
La natura vuota di tutto ciò diviene all’ improvviso manifesta e chiara.
Certamente la vita mantiene le sue caratteristiche, e se vogliamo anche i suoi drammi, ma la libertà acquisita ci  impedisce di rimanere impantanati dove prima invece il tutto ci sembrava avere un’ aspetto malsano e paludoso.
A questo punto siamo soli !
Ma non nella tristezza e nella disperazione.
Soli con ciò che è la realtà ultima dello zen.
Soli nella totalità dell’ universo, anzi con l’ universo.
Soli dove ogni prigione è scomparsa, dove la nascita e la morte non sono più dei confini che dettano la loro legge crudele.
Soli e liberi di attraversare tutto ciò in perfetta armonia, con il cambiamento.
Poiché la costante trasformazione di fenomeni  è la Natura di Buddha!

Nel sutra che recitiamo alla fine di ogni zazen l’ Hannya Haramita Shingyo-17- non facciamo altro che leggere la descrizione di questo passaggio.
Già nella sua introduzione possiamo rendercene conto.
Kannon-18-  il Bodhisattva della compassione, avendo realizzato la realtà ultima  cioè la vacuità di ogni fenomeno ha abbandonato per sempre la paura.
Avendo realizzato la forma è vuoto, e vuoto è forma è andato al di là dell’ al di là, nell’ altra sponda.
Questa è una traduzione sintetica del testo, ma è sicuramente  descrittiva per chi ha toccato profondamente la realtà ultima.
In realtà molti dei sutra che vengono recitati, almeno nella tradizione mahayana-19- sono un commento a ciò.
E parafrasando l’ entrare nella cruna dell’ ago di Gesù, e l ‘ innocenza come animo per entrare nel Regno  dei Cieli mi sembra di poter affermare
Lo stesso contatto con la realtà.





                                                             Il puro diamante
                                                             Non ha colore.
                                                             Il vasto cielo
                                                             Non sceglie.
                                                             Nella ciotola del monaco
                                                             Non vi è nessun ego



Dharma del Buddha

Da un po’ di tempo a questa parte pratico le arti marziali.
Anzi volendo essere preciso non seguo nessuna Via marziale in particolare.
Per me questo è molto semplice.
Lascio che le tecniche di combattimento a mani nude, o con il bastone sorgano spontanee dalla profondità dell’ inconscio. Una volta che sono entrate nella coscienza le elaboro e proseguo così il mio particolare
percorso.
Anche con la ginnastica che ne consegue, lascio che sia il corpo a guidarmi, senza intervenire con la mente per sviluppare un muscolo o un’ altro. In questo modo tutto ciò che faccio è solo l’ espressione dell’ universo nei gesti che compio.
Purtroppo per molti l’ arte marziale è solo una competizione sportiva, una particolare tecnica legata alla forza per vincere un combattimento.
Questo a mio avviso è un’ altra mancata occasione per abbandonare l’ ego invece che rafforzarlo.
Il maestro Deshimaru-20- nel suo libro ‘’ Lo zen e le arti marziali ‘’ insisteva molto su questo punto.
Egli parlava di forza, tecnica e saggezza, ma da questo tripode estraeva la saggezza come il fondamentale dei tre.
Per quanto possiamo continuare ad affermare di aver capito la vita e la profondità che ne consegue; i suoi sottili tessuti, le trame che ne intessano la sua particolare struttura e bellezza, se non comprendiamo profondamente con il corpo, tutto rimane a livello verbale e quindi la zona del cervello interessata è la corteccia, cioè quella più superficiale.
Con il corpo invece scendiamo in profondità, nell’ ipotalamo in unità corpo-spirito.
Sempre il maestro Deshimaru affermava che le cose avvengono spontaneamente, inconsciamente, naturalmente. Non abbiamo bisogno della volontà per attuare il Dharma, e la sua comprensione intellettuale è come saper a memoria uno partito senza saper suonare alcun strumento.
Come possiamo parlare della gioia nel suonare, se ci soffermiamo solo su un intendimento dell'ingegno.?
Voler mostrare la capacità di capire il Dharma non ci libera dalle illusioni. Anzi a volte è l’ esatto contrario.
Proprio perché pensiamo di aver ‘’capito’’ ci neghiamo la possibilità di lasciare in noi, lo spazio al cambiamento.

Quando si rinasce nel corpo, allora non abbiamo più bisogno di dimostrare nulla. I gesti sono spontanei, sinceri, puri di cuore.
Non cerchiamo negli altri l’ approvazione di noi stessi, e di quello che realizziamo, poiché il nostro punto di vista è centrato. E se non cadiamo nella presunzione di aver realizzato e capito tutto, allora i veli che occultano la vita,poco a poco ci si svelano…per quanto possano essere infiniti.

La pratica quotidiana è la manifestazione del Dharma.

L’illuminazione di per se stessa.

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Anche quando mi dedico a piccoli lavori domestici, di abbellimento nella casa in cui vivo, mi rendo conto che sovente mi dimentico completamente di me stesso.
E’ per me un atto naturale.
Non c’è intenzionalità.
Il lavoro e chi lavora scompaiono. Esiste solo il  gesto, che a quel punto è sacro.
Questo è l’ insegnamento de Buddha e dei Patriarchi.

‘’ Immenso spazio vuoto e nulla di sacro ‘’

Cosi rispondeva Bodhidharma-21- all’ imperatore cinese alla sua domanda riguardo la vacuità.
Non è nulla di eccezionale, nulla di misterioso o magico.
Non esiste in alcuna altra dimensione, in un altro tempo o spazio la realizzazione del Nirvana-22- del Buddha, se non qui e ora con questo corpo e questa mente che abbiamo ricevuto dall’ universo in virtù del nostro karma.

         
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Per molti anni la mia vita è stata un continuo susseguirsi di compartimenti stagni. Prendevo me stesso, gli altri, le cose che facevo, come tante camere separate sprofondandole nelle immense profondità degli abissi marini.
Da una parte questo, da una parte quest’ altro, e relazionandomi alle emozioni; ai sentimenti presenti in me,  attribuivo una connotazione fissa, nella quale di volta in volta veniva attaccata una identità.
A vedere meglio questa situazione, con la luce attuale, posso affermare uno stato di schizofrenia acuta.
Mi risuonano ora come non mai le parole e l’ insegnamento del mio Maestro:
‘’ Tutto ciò che appare siamo noi,ma noi non siamo quello che appare .‘’

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Nel nostro gruppo di pratica della Via  ci siamo posti sin da subito il problema della nostra identità culturale.
Identità nella tradizione zen e del suo aspetto con connotazioni giapponesi, ma anche soprattutto la nostra identità   come gruppo che pratica, vive e lavora nella Sabina.

La Sabina è una ragione del Lazio che và dalla valle del Tevere, fino a Rieti, circondata dai monti Lucretili a est, e arriva fino a circondare tutto il nord-est di Roma.
In tutti noi è molto forte il sentimento di amore per questa terra.
Personalmente esiste una forte attrazione per i popoli che hanno vissuto in questa regione sin dai tempi remoti.
Etruschi, sabini, romani ci hanno lasciato testimonianze della loro presenza. Tutto ciò lo si può vedere nelle rovine di Feronia, sulla sommità del monte Soratte, con il suo tempio  dedicato al dio Apollo e poi trasformato in chiesa cattolica, ma anche nei campi messi a coltura,  che per primi furono lavorati 2000 anni or sono.
I romani fondarono il loro Impero, e conseguentemente la loro cultura, avendo come presupposto una forte connotazione spirituale anche se pagana, l’amore per la terra in cui vivevano,  un senso del diritto e soprattutto del dovere fino allora mai esistito.
Con questi presupposti riuscirono dove prima allora nessun altro era arrivato.



Per quanto mi riguarda, quando vado al dojo,-23- o mi affaccio sul terrazzo di casa, tutto risuona in me, e un senso di profonda pace mi pervade.
Ora il buddismo ha sempre avuto come punto di forza, la capacità di adattarsi alla cultura dei paesi nel quale si è diffuso.
Questo  lo si può vedere non solo in Cambogia, in Vietnam, in Giappone e in Tibet ma ovunque.
Avendo come presupposto la sua adattabilità, è chiaro che in Europa, e in questo caso mi riferisco all’Italia, mi sembra chiaro che  pur rispettandone la tradizione si debba quanto meno porre le basi per uno sviluppo graduale di uno zen europeo e italiano.
Il problema è stato posto dal mio Maestro, e giustamente pur avvertendo questo tipo di esigenza ha sottolineato il fatto che ogni cosa necessita di un tempo naturale per evolversi e modificarsi.
Il quesito esiste, ed è vissuto da alcuni di noi come un problema che và affrontato , ma senza la volontà di intervenire direttamente.
Il rischio altrimenti sarebbe quello di stravolgere il messaggio del Buddha.
Penso  che la questione è direttamente legata all’ identità.
Identità come individualità, e quindi nelle sue differenziazioni, ma anche la perfetta natura di ogni cosa dove intimamente questa individualità scompare.

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A questo riguardo una piccola considerazione:

Nei primi anni di vita, per ogni essere umano esiste un percorso che partendo dalla simbiosi con la madre si sviluppa fino alla differenziazione, e si conclude con l’ affermazione dell’ individuo.
Questo percorso così delicato e complesso avviene in maniera inconscia  anche nelle relazioni affettive attraverso le dinamiche comportamentali, il
suo mancato conseguimento determina il fallimento della coppia,e nel preciso per il bambino, al suo fallimento come adulto.
Molte relazioni crollano proprio perché non hanno la forza di superare la simbiosi del primo anno. La paura che il tragitto di differenziazione e affermazione dell’ altro possa rompere equilibri nati dal bisogno e non dall’ amore,è paralizzante.


In linea generale mi sembra che lo zen in Europa  sia arrivato al punto che la simbiosi con il   Giappone debba terminare.
Occorre perciò molta cautela, consapevolezza,capacità di introspezione e la saggezza di considerare i propri limiti.
Allo stato attuale l’ idea che ho di tutto ciò è l’ immagine di Kannon dalle mille braccia.
Kannon è un principio intelligibile spirituale legato alla compassione e all’ ascolto profondo.

Figura mitologica presente nel buddismo mahayana incarna la capacità di amare e comprendere l’ altro, perché questo possa liberarsi dalla sofferenza.
In Giappone è stato introdotta con aspetti maschili, ma nel corso dei secoli la sua immagine è diventata femminile.
In una sua rappresentazione ha mille braccia; ed ogni braccio ha nelle sue mani uno strumento o arnese.
Questo sta ad indicare la capacità e la saggezza di intervenire con mezzi abili a seconda della situazione.
Un unico corpo, un identità comune come un meraviglioso albero che sprofonda le sue radici nella terra.
Ecco allora avvenire il compimento del processo.
Nella sua rappresentazione l’albero esprime la differenziazione nella forma, ma affondando i rami, le foglie, le radici nel cosmo anche la vacuità della forma stessa.
In questo preciso punto, non vi è più separazione tra le identità e il confine tra gli opposti scompare nel Nirvana universale.






                                                             Passi luminosi
                                                             Lasciano ombre sul sentiero
                                                             Dove è mai possibile
                                                             La destra senza la sinistra !
                                                             Sei sulla Via da sempre
                                                             Per l eternità.


Pellegrini

Tutti noi siamo pellegrini. Pellegrini spirituali. E la vita intesa come viaggio, come ricerca è la rappresentazione di una metafora dove ad ogni istante esiste una continua scoperta.

Verrebbe subito da fare una considerazione; cioè quella che il viaggio prima o poi abbia un termine  una conclusione, e che regolato da presupposti così vincolanti prima o poi il nostro pellegrinare nella vita, raggiunta una certa meta, un obiettivo si concluda.
Il traguardo può essere raffigurato da molte icone. La morte, l’ illuminazione, il Nirvana supremo, il compimento di un progetto o verosimilmente degli insight che lungo la strada ci confortano come il migliore dei ristori.
Se fosse così allora il termine pellegrino andrebbe sostituito al compimento della meta, ma alla luce dei fatti questo non è possibile, e cercherò ora di svelarne il  motivo.
Per far questo è necessario compiere un piccolo passo indietro e tornare a ciò che accadde dopo il big-bang.
Ora senza avventurarmi in temi che mi sono estranei, qui di seguito riporto le seguenti parole tratte dal libro ‘’ La più bella storia del mondo ‘’

‘’ Si è sicuramente la più bella storia del mondo, perché è la nostra. La portiamo incisa nel più profondo di noi stessi, il nostro corpo è composto di atomi dell’ universo, le nostre cellule contengono una particella dell’ oceano primordiale, i nostri geni sono in gran parte comuni a quelle dei vicini primati, il nostro cervello racchiude in sé gli strati dell’ evoluzione dell’ intelligenza, il figlio dell’ uomo ripercorre a ritmi accelerati il cammino dell’ evoluzione animale.
Chi potrebbe negare che si tratti della storia più bella del mondo ?
‘’  Simonet Dominique’’.
Dunque la nostra storia ha origini ancestrali e si perde nella notte dei tempi.

Figli delle stelle !

Pellegrini !



Quello che più cerca l’ uomo nella sua ricerca interiore, è l’ attimo della stabilità. L’errore consiste nel ritenere l’ attimo un qualcosa che permane nel tempo, e quindi realizzare la permanenza nella vita.
In questa folle corsa, sacrifichiamo la nostra esistenza nel tentativo vano di arrestare un processo che è la vita stessa. Finiamo  così per accumulare affetti, denaro, oggetti, posizioni sociali, ruoli di potere, allontanandoci dalla Verità.
Quando ci rendiamo conto che tutto è inutile e dukkha-24- ( la sofferenza ) è alle porte della coscienza, spesso è troppo tardi, o nella maggiore delle ipotesi non abbiamo la forza per intraprendere e iniziare così il nostro viaggio. La  paura è in agguato , giriamo angosciati nel nostro divenire, scuole spirituali entrano ed escono dalla nostra vita come caramelle scartate dalla nevrosi, cerchiamo fuori ciò che è dentro di noi e quando qualcuno ci dice di lasciare la presa, fuggiamo in un'altra direzione, da un altro maestro, un altro psicologo, un’ altro insegnamento.
Per questo viaggio occorre coraggio, il coraggio che solo un monaco, o un guerriero di pace  ( nella forma laica del caso ) possiede.
Nel nostro  continuo pellegrinare alla ricerca della felicità, il bagaglio che ci trasciniamo si alleggerisce nel corso degli anni.
Per quanto possiamo essere motivati, i tre veleni (odio, avidità, ignoranza)
continuano ad esercitare su di noi un controllo pressoché totale. Solo con il tempo, con le dure  prove che la vita ci sottopone, cominciamo a lasciare per strada i nostri stupidi tentativi di difesa.
I lutti, la malattia, l’ insoddisfazione vanno considerati come dei doni ricevuti, se da essi apprendiamo la lezione dell’impermanenza. Ma ciò non toglie, ad essi, la tristezza stessa,della separazione. E ciò che al momento è considerato un danno, in realtà nasconde sempre il suo insegnamento spirituale. In questo viaggio abbiamo poi la fortuna di incontrare altri pellegrini. A volte un sorriso, l’ascolto profondo, la compassione che ci viene offerta da chi è in cammino come noi, e come noi, è in grado di condividere le nostre emozioni, percezioni e sensazioni è un vero toccasana.

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Per molti anni in me è stato presente l’errore di considerare il mio viaggio finito.Questo errore l’ ho compiuto al termine del mio percorso con la Gestalt,-25- il giorno in cui ho ricevuto l’ ordinazione come monaco, ma soprattutto ho ritenuto  di esser giunto da qualche parte ogni qualvolta che una esperienza mistica era vissuta in zazen, ed inoltre al susseguirsi di alcuni insight che la vita mi ha regalato in questi lunghi e difficili 26 anni.
Non c’è nulla di sbagliato in tutto ciò, ma l’ attaccamento che ne consegue si. Ed è alquanto doloroso, scoprire che la strada continua perché il cammino da fare, è ancora lungo…senza fine !

Kodo Sawaki Roshi-26- diceva che studiare il buddismo è studiare la perdita.
Sembra che non ci sia nulla di umano in tutto ciò. Quello che l’ uomo vuole e desidera più di ogni altra cosa è la stabilità. Stabilità economica, emotiva, fisica, sociale.Come può dunque la rinuncia, la perdita garantirci la serenità ?
Dobbiamo entrare nei fenomeni, attraversarli totalmente, penetrare la vita in noi stessi e realizzare così nel nostro corpo, la vacuità e l’ impermanenza. Mettendo in consonanza i gesti, i pensieri e le azioni, senza scegliere senza intervenire, lasciamo che la Vita sia in noi la manifestazione cosmica. Per questo  nello zen si insiste sempre di andare oltre.
Oltre noi stessi, per non rimanere  intrappolati nelle nostre opinioni, convenzioni e costruzioni mentali.

Come possiamo pensare che esista un termine a questo viaggio !?
Ci facciamo idee e illusioni sull’ illuminazione. Essa diventa come una carota davanti al nostro viso,  e ne inseguiamo il sapore rimovendo   la realtà.
Nel futuro poniamo le basi della nostra sicurezza, ritenendo che il domani possa in qualche modo compensarci dalle nostre fatiche attuali. Allora la pratica quotidiana, i nostri gesti non sono più considerati come un’ attuazione del Dharma, ma come un fine per arrivare alla meta.
Ecco che siamo nuovamente fuori strada.
Zazen è già illuminazione.Come una fiamma che arde e che illumina. Illumina all’ esterno ed è già luce. Che importanza ha, sapere se la luce illumina, se già si è luce.
Le nostre azioni, il nostro karma, vengono bruciati nella pratica quotidiana; e dov’è mai il confine tra la fiamma che arde, e il suo combustibile ?
Certo esiste una separazione, due identità separate tra la fiamma e il combustibile, ma ad un certo punto queste due peculiarità scompaiono, si fondono in un solo aspetto, e lì in quel preciso istante non vi è più distinzione tra i fenomeni e la loro impermanenza.  
Per comprendere la totalità della vita, perché la vita si attui in noi, dobbiamo abbracciare le sue sfaccettature. Allora la destra e la sinistra, il bello e il brutto, la vita e la morte  smetteranno di essere dei pesi, e in questo senso allora potremmo cominciare a risvegliarci ad una nuova dimensione. Quando impariamo a separarci dal nostro atteggiamento egoistico, ogni cosa ci appare nella giusta maniera.
Herman Hesse-27- nel suo romanzo ‘’ Siddharta ‘’ ha narrato questo momento, con la descrizione di un fiume che scorre.

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Ancora sono presenti in me i ricordi delle lacrime di gioia e commozione al termine del libro. L’ unità, il fluire ininterrotto; così magistralmente esposti dal grande scrittore tedesco, ebbero su di me un effetto tonificante. E  nonostante fossi ancora giovane e inesperto, sentivo in quelle parole una verità che andava al di là della semplice conoscenza.

La Vita non sceglie la Vita è !!

Dogen ci ha insegnato che il Dharma del Buddha si attua nel essere tempo.

A volte leggiamo di immense catastrofi, terremoti, che mietono  centinaia di migliaia di vittime. E sempre di seguito possiamo leggere o ascoltare in televisione che la Natura è assassina e crudele.
In certi casi invece diventa docile, accogliente, bella e meravigliosa.
Mi domando quale sia il senso in queste affermazioni. 
Probabilmente nessuno.
E’ l’ uomo nella sua follia a catalogare ogni cosa. E ogni volta  che classifica nasce spontaneo il giudizio, e quindi di conseguenza una reazione di attaccamento o repulsione.
Siamo di nuovo nella dualità
Di nuovo c’è un ego che interviene, separa distingue e giudica. Non ci rendiamo conto che invece questa dualità perché diventi UNO và abbracciata totalmente .
Abbandonando senza riserve il nostro egoismo.
E’ questa la perdita a cui faceva riferimento Kodo Sawaki Roshi.
Quando smettiamo di scegliere, possiamo guardare la vita con occhi nuovi.
Questo non significa che un lutto non sia un lutto, una guerra una guerra, e una catastrofe una catastrofe. Ma lo nostra visione sarà più ampia. Totale, accogliente. Non ci sarà più la presa di posizione per o verso una cosa anziché un’ altra, e il dolore inevitabile per la mancanza di una persona cara non sarà accompagnato dalla sofferenza di un io che sceglie, cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Noi tutti viviamo e moriamo, attimo dopo  attimo.

La vita di un uomo dura un solo respiro, insegnava il Buddha.

Al termine dell’espirazione dalla vacuità torniamo alla forma con l‘ inspirazione. Ad ogni processo respiratorio nasciamo e moriamo in completa armonia corpo-spirito. Vuoto è  forma e forma è vuoto, ma anche forma è forma e vuoto è vuoto, tanto per tornare all’ esempio della fiamma e il combustibile che arde.

 ‘’ Essere tempo ‘’

Appunto come insegnava il maestro Dogen.
 Istante che si attua, come nell’ universo intero, della realtà suprema.
Apriamoci dunque al nuovo, senza paura. Lasciando da parte il tentativo di manipolazione, e di cristallizzare  ( nella nostra illusione ) ciò che non può essere cristallizzato. ‘’ Ogni cosa ’’, noi compresi siamo, rappresentiamo, inter-agiamo con l’ universo intero. Attimo dopo attimo nel tempo ‘’ogni cosa ’’ è così com’è.
E in questo non vi è divenire.
Sempre Dogen cita la legna che non diventa cenere.
Possiamo finalmente lasciare la presa.
Riconoscere il Divino, il Buddha, ovunque.
Da un semplice oggetto creato dall’ uomo, in un sasso in un fiore.
Riconoscere il senso religioso del Dharma anche nella nostra confusione e sofferenza.
Poiché non vi è più distinzione tra ciò che è sacro e profano, tra illuminazione e non illuminazione.


E il nostro viaggio può finalmente compiersi senza più una meta da raggiungere, perché la meta è già qui. Presente nel presente, nel qui e ora. Ora più che mai leggera come un alito di vento all’ imbrunire della primavera.



                                                            Percorrendo
                                                            Antiche strade.
                                                            Pellegrino;
                                                            Seguo l’ insegnamento
                                                            Dei maestri


Uomini straordinari

La cronologia storica dal Buddha sino a noi è stata costellata, almeno nello zen, da paradossi, aforismi, apparenti assurdità e quanto meno da personaggi e patriarchi con delle storie personali stoiche se non in alcuni casi drammatiche.
Potrei citare più di un caso, o nome, ma la domanda da porsi:
E’ che cosa ha mosso dal profondo del loro essere questi uomini, a una determinazione così feroce, tanto da spingersi ai confini dell’essere umano?
C’ e’ chi si è tagliato un braccio, chi ha vissuto cibandosi di bacche e poc’altro, chi ha scelto di viaggiare in territori pericolosi e sconosciuti, chi invece ha racchiuso la propria vita in un eremo lontano dal mondo e dalle sue chiacchiere. E quanti altri ancora , dei quali non sappiamo nulla, nel corso dei millenni, hanno consacrato tutta la loro vita, al compimento dello svincolo dalla sofferenza.

Perché  ?

Jung definisce ‘’Eroe’’ colui che, attraverso il suo coraggio e la sua determinazione è in grado di scendere negli abissi del suo territorio per affrontare i propri demoni, il proprio lato oscuro e tornare vincitore nella luce.

E’ un destino riservato a pochi.

Pochi infatti hanno questa caparbietà, questo coraggio, questa disciplina così ferrea da poter tornare vincitori.
A questo punto è necessario fare una considerazione fondamentale.
In tutte queste pagine ho parlato di abbandono, di sottomissione totale alla vita, ma fintanto che in noi non avviene il compimento adulto dell’ io tutto ciò è impossibile.

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Quando ho iniziato il mio viaggio, avevo per gli psicologi e l’ analisi terapeutica una particolare avversione.
Ero un ragazzo, e come tutti i ragazzi la saggezza era un qualcosa che andava conquistato sul campo.
Solo dopo tanti rifiuti, dolore e lacrime, decisi di incontrare la terapia.

Avevo 30 anni, e i successivi 3 anni di analisi, sono stati i più belli ma anche i più laceranti di quel periodo.
In quel lungo spazio di tempo, ho gettato le basi, perché potessi lasciare la presa nel futuro, consolidando la mia struttura psichica, la mia griglia maschile, e in definitiva il mio ego.
Ero frastornato, la separazione e la malattia di mio figlio mi avevano gettato nella più profonda disperazione, l’ ansia e l’ angoscia giocavano su una altalena che non aveva alcuna sosta, e anche l’ organismo faceva acqua da tutte le parti.
Dopo circa 4 mesi di terapia, di chiacchiere e un disperato tentativo di difesa rispetto alla mia terapeuta, ebbi il  crollo totale su tutta la linea.
Fu allora che cominciai ad assaggiare la torta delle emozioni, il  ‘’millefoglie’’della sofferenza.
In successione ecco i suoi strati dal primo all’ ultimo, il più doloroso.
Paura
Rabbia
Senso di colpa
Tristezza

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Ora senza spingermi oltre, diciamo che in linea generale i primi tre sono delle coperture, per non toccare quello che più ci lacera, cioè la tristezza.
Paura della vita, paura dell’ apertura, paura della rabbia, rabbia che si trasforma in ira, rabbia verso il mondo, verso i nostri genitori, e poi la rabbia verso noi stessi, con la colpa, e infine il pianto, la tristezza, che come un manto nero ci avvolge l’ anima, condizionando  la nostra vita, le nostre scelte, le nostre coercizioni inconsce.

Indubbiamente non è per tutti  così; lo è stato per me,  e scrivo la mia esperienza, però dopo 26 anni di pellegrinaggio, mi sembra di poter affermare che la maggior parte delle persone non ha il coraggio e la forza dell’ ‘’Eroe ‘’  di Jung.
Diciamo che i più continuano la loro vita, e non si rendono conto di nulla.  Esiste poi un numero di persone, nel momento  in cui la Bodhaishin ( mente del risveglio ) si attua,  che non ha
sufficiente determinazione e così rimbalza  come una pallina da pingpong in ogni luogo.
E’ come affacciarsi su un qualcosa di orrendo; un drago minaccioso, che ci riguarda direttamente, con le sue fiamme e denti aguzzi.
Sappiamo che il drago siamo noi, ma torniamo a casa, al sicuro con le nostre ansie, perché la prova è troppo ardua.
E infine esistono i guerrieri dell’ anima.
Coloro che cavalcano il  drago, sentono la sua terrificante forza, il dolore causato dalle sue fiamme e artigli, ma  proseguono la lotta indomiti, fino alla fine.
E’ chiaro che sto usando delle metafore..
Ma penso che molti lettori si possano riconoscere tra queste pagine.
Lo scrivo non per presunzione, ma da i tanti innumerevoli confronti che ho avuto in questi anni.

…Il nostro pellegrinaggio è solo all’ inizio ma già siamo laceri, confusi, storditi.
Eppure proseguiamo; anche se le ferite sanguinano.
Un giorno si cicatrizzeranno.
Le braccia sono pesanti, i muscoli duri e tesi dallo sforzo.
Ma il cuore pulsa.
Pulsa come non mai, e il centro del nostro mondo ci spinge in avanti, perché fermarsi equivarrebbe a morire.
Morire di fronte ai nostri fantasmi, soccombere al gelo che paralizza ogni processo vitale e ci impedisce così la crescita.
Certo è un paradosso, e in tutto questo c’è del ridicolo, perché passiamo degli anni in un crogiuolo infernale, per forgiare la psiche, per erigere un supporto essenziale che possa mantenerci in equilibrio senza farci sprofondare, e poi …?
E poi il mattino si fa chiaro, l’ alba è all’orizzonte,  la rugiada sulle foglie comincia a evaporare, e un fresco respiro ci corrobora completamente.
Ma è a questo punto che inizia il percorso religioso.
Grande ego grande satori diceva il maestro Deshimaru…ed è vero.
All’ inizio di questo capitolo, ho usato come anteprima lo stoicismo del Buddha, dei Patriarchi e dei loro eredi spirituali.

Ma se non fossimo sufficientemente attrezzati come potremmo proseguire nella Via ?


Già perché se è difficile elaborare la paura, attraverso la rabbia, riconoscere i sensi di colpa, e amare la nostra tristezza,è altrettanto gravoso se non arduo andare oltre noi stessi, oltre il nostro egoismo e toccare con mano le quattro Nobili Verità, l’ impermanenza, il non-io, la vacuità, le tre afflizioni o veleni.
E’ chiaro che ci troviamo di fronte ad un qualcosa di completamente nuovo per noi, e se anche per benevolenza di un buon karma, non siamo passati sotto le forche caudine, in ogni caso il tema della sofferenza e la sua estinzione ci riguarda tutti nessun escluso.

Qui non sappiamo bene come dirigere i nostri passi.
In questo luogo diventa fondamentale la presenza di un Maestro.
E che poi sia con il tempo, a farci da guida il nostro Maestro interiore, è un fatto che lo si realizza solo dopo l’ attuazione del Dharma, e in ogni caso, non  trascurando mai, l’ umiltà e l’ ascolto.
Dicevo del maestro, perché andare verso una dimensione più vasta, più elevata che ci consenta di liberarci dalla sofferenza è un compito che riguarda noi come discepoli, ma anche la relazione che instauriamo con il nostro Maestro.
A volte, questo desiderio di liberarsi, di estinguere il dolore ( nirvana ) è così urgente che diventa l’ unico scopo della nostra vita.
Ecco spiegato, a mio avviso, la storia di questi uomini straordinari.La storia di un urgenza diventata il fulcro della loro vita.
Come un incendio sulla nostra testa…
A questo punto siamo giunti all’ abbandono. E’ si, perché non c’è altra alternativa. Possiamo giocarci un po’, ma la cruna dell’ ago è stretta, e non offre escamotage, o variazioni sul tema.
 Ed e’ solo dopo ogni abbandono che realizziamo la vita.

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‘’ Lascia  la presa ‘’ mi dico continuamente.

E non sempre ci riesco.
Ma con il tempo, sto assaporando una qualità e una serenità che un tempo era solo un sogno.
Ora nonostante alcune incertezze, il viaggio prosegue, e comincio a notare intorno a me la bellezza del paesaggio.
Un paesaggio che si rinnova con il tempo, a volte dolce, a volte aspro, ma sempre e comunque mai ostile.



                                                            Macchie sulla pelle
                                                            Qualche capello bianco
                                                            Che succede ?!
                                                            Amico mio…                              
                                                            L’ impermanenza.  




Il sorriso del Buddha


Molte persone hanno dimenticato completamente le gioie che si possono incontrare nella Vita. Che poi stiano in un percorso spirituale   o     meno,   non pregiudica il fatto che questa perdita della gioia è un allontanamento dai piaceri che la vita ci offre, come un dono senza ricevuta di ritorno.

Alcuni vivono nel nulla. In esso mangiano, bevono,  fanno l’ amore in maniera automatica, impulsiva , coatta…e così via dicendo.

Altri invece pensano che le regole, l’ ascetismo, il purificarsi, siano lo sciroppo della serenità!


Buddha dopo i sei anni trascorsi nell’ ascetismo più completo, si rese conto che la strada intrapresa lo stava conducendo alla morte.

Si salvò appena in tempo, mangiando un pugno di riso, e bevendo un po’ di latte. Si rese conto che la privazione completa del cibo, la rinuncia totale al suo benessere era una forma estrema  e che quindi andava abbandonata. Così dal lusso sfrenato della vita a corte, all’ ascetismo più completo ne sperimentò gli aspetti apicali, e insegnò per il resto della sua esistenza la Via di mezzo.
Diede origine ad un ordine monastico, ne fondò le regole, che poi si modificarono con il crescere dei discepoli per favorirne l’ armonia e il benessere,  primo fra tutti abolì le caste, e avviò le donne al monachesimo,  pur con delle limitazioni e regole legate al periodo storico e culturale della sua epoca.
Insegnò il non attaccamento, ma non la privazione delle gioie.

L’ordine monastico a cui appartengo è forse l’unico nell’ambito buddista che consenta ai monaci di avere delle relazioni sessuali. Relazioni dove regna l’ amore, la condivisione, il rispetto e il non sfruttamento dell’ altro.
Scrivo questo per dovere di precisione e cronaca, altrimenti può sembrare che nel Sangha del Buddha, dalle sue origini ad oggi sia concessa la non castità. Al contrario, soprattutto nella tradizione Theravada-28- i monaci vivono nella più semplice delle povertà facendo una vita ai limiti della santità.
Detto questo, in tutta la sua vita a seguire, visse in maniera spartana, semplice, ma essendo un uomo soffrì di mal di schiena, morì forse avvelenato per una cena a base di funghi, e si cibò sempre apprezzando la bontà dei pasti; ma non solo. Era il primo a gioire nel  vedere i meravigliosi scenari che solo l’ India del nord-est poteva offrire. E una volta che giunse di fronte all’ oceano con i suoi discepoli, si compiacque così tanto da insegnare loro un sutra.
Ora dal Buddha a noi sono trascorsi 2500 anni.
E’ chiaro che proporre quel tipo di vita, fatta di notti all’ aperto, nella giungla è impossibile, almeno in occidente.
Quello che cerchiamo di fare, noi monaci metropolitani o rurali, è seguire e praticare la Via sempre.
Per sempre dico facendo zazen tutti i giorni; a casa, nel dojo, partecipando ai ritiri che periodicamente vengono organizzati in tutta Europa,  e conducendo una vita semplice per lo più nel territorio dove viviamo. Il nostro quotidiano è fatto di lavoro, meditazione, preoccupazioni sociali,  gioia, e cerchiamo di educare i nostri figli secondo gli insegnamenti ricevuti, servendoci anche della saggezza che ci è stata donata dalla vita.
Che intendo dire con questo ?
Intendo dire che la vita va goduta appieno. Goduta quando mangiamo in silenzio nel dojo, goduta quando lavoriamo, ascoltando della buona musica, leggendo un bel libro, viaggiando o magari facendo l’ amore.
Goduta da e per se stessi, in maniera sana e pulita.

Quante persone sono bloccate dalla loro paura ?
Quanti vivono la loro sessualità in maniera distorta ? Quanti ancora sono tormentati dai loro impulsi, e non si aprono a loro stessi, al loro orientamento sessuale ?
E chi invece considera il ‘’ sesso creativo ‘’( Jodoroski-29- - Il dito e la luna- ) come una condanna, un peccato capitale ?
L’energia sessuale è un energia divina. Proprio per questo le tre principali religioni monoteiste l’ hanno condannata, confinandola,  assoggettando così l’ uomo al peccato attraverso il senso di colpa. Lasciamo che essa operi in noi, con naturalezza e tutti potremmo solo che riceverne benefici.
Ma più di ogni altra cosa, torniamo a essere padroni della nostra vita, impedendo così a noi stessi la schiavitù  delle nostre azioni e pensieri.
Questo ritorno a casa, vuol dire smettere di consegnarsi, smettere di fare affidamento su gli altri.
Gli altri che colmano i nostri bisogni, le nostre paure.


Fritz Perls-30- definiva nevrotico, la persona incapace di gestire la propria vita, ma in virtù di questa incapacità; estremamente abile nel gestire la vita degli altri, perché questi possano risolvere la sua inadeguatezza.
Oggi giorno si chiamano vampiri !
Nessuno può vivere la vita di un altro.
Nessuno aiuta nessuno, in definitiva.
Ma questa verità, assoluta comunque non ci deve impedire, la compassione, l’ aiuto e l’ ascolto.
Deve solo farci riflettere tra i tanti atteggiamenti.
Impariamo a nuotare, prima di gettarci nell’ acqua, prima di pensare a salvare qualcuno che sta affogando.
Per aiutare realmente qualcuno, bisogna ricondurlo a se stesso, altrimenti rimaniamo vittime dei meccanismi contorti e distorti delle dinamiche  interrelazionali. E in questo senso, esiste la libertà.
La libertà nell’ assertività, e quindi poter rispondere  no quando è il caso, libertà nel senso più ampio della parola, il quale non significa ‘’ faccio come mi pare ‘’ ma libertà dalla sofferenza, dalle illusioni e dalle trappole dell’ inganno.
Il senso del dovere allora non è più vissuto coma una imposizione, che ci è stata ‘’ regalata ‘’ dai genitori, come un elemento di controllo rispetto al bambino che eravamo nella nostra infanzia.
Non è neanche una arroganza stereotipata, ma in qualche maniera viene sostituito dal senso di responsabilità. Che è a mio  parere un ‘ altro aspetto della libertà. Ed infine libertà verso noi stessi.
Molto spesso veniamo condotti dai nostri pensieri e viviamo in una sorta di stato comatoso.
Quando torniamo a noi stessi, ad esempio attraverso la respirazione, siamo nella condizione di scegliere.
Scegliere se vivere travolti, e stravolti dagli eventi interiori, o tornare al qui e ora.
Finalmente la vita, in tutta la sua poliedrica bellezza, e con tutta la maestosa dignità che le appartiene in quanto tale.
E noi che della vita ne facciamo parte, un sorriso imperturbabile, fiero e dolce allo stesso tempo. Il sorriso del Buddha !

Conclusione

E come ogni cosa, anche ciò che ho iniziato qualche settimana fa è giunto al termine.
In questi giorni, ho scritto d’ impulso, lasciando che le parole uscissero in maniera spontanea.
Devo ancora rileggere in maniera esaustiva ciò che ho scritto, così quasi in uno stato di  trance sciamanico. Prima di terminare questo libro qui di seguito voglio ringraziare tutti coloro, che hanno permesso a questo libro di realizzarsi. Sono tanti:
Mio padre, per il dono della sua morte !
Mia madre, per il suo amore, fiducia ed educazione.
Angelo Fontanelli, il mio primo fratello e guida spirituale.
Marco Turoni, un guerriero, un fratello.
Roland Yuno Rech , il mio Maestro
Simone mio figlio.
Quando è nato, e con la malattia che lo ha accompagnato in questi 12 anni, ha ridato in me la speranza, la fiducia di aprire nuovamente il cuore alla Via.
La mia compagna di viaggio.
Dopo 5 anni di profonda amicizia, ci siamo fidanzati.
La nostra unione spirituale,  i suoi consigli, il nostro amore, non ha alcuna possibilità di essere descritto. Solo chi ha avuto la fortuna di incontrare un amore così vasto può capirmi…in definitiva questo libro nasce dalla sofferenza, ma è inspirato dall’ amore.
Tuttavia sono molte di più, le persone cui mi rivolgo con gratitudine. A cominciare dalla mia terapeuta, per finire agli amici del dojo Pino e Edoardo.


Questo non-io, così apparentemente assurdo, così lontano dall’ essere descritto e immaginato è il dono più grande, supremo.
Un dono che non va raccolto per essere chiuso in una bacheca e custodito gelosamente, perché per sua natura è imprendibile.
Quindi proprio per la sua forma impermanente, va semplicemente realizzato.
Realizzato attraverso i mezzi che abbiamo, così come siamo.

‘’ E questo così ‘’ è il nostro corpo di adesso, la nostra mente di adesso.
Ed è all’ interno di questo corpo e di questa mente che dobbiamo risvegliare   il pensiero dell’ ‘’ Illuminazione ‘’  ( Suzuki Roshi-31- )

                                                 



                                                                Che tutti gli esseri possano
                                                                realizzare, l’ estinzione della
                                                                sofferenza, 
                                                                il Nirvana del Buddha qui e ora.




                                                                                Con amicizia

                                                                        Massimo sodo Chinzari


                        CHOUWA  NO MICHI         


                                   Poesie, disegni e riflessioni nell ‘ armonia




                                  Prefazione


Sono passati circa tre anni dalla prima edizione di  Chouwa no michi.
Mi sembra un tempo interminabile.
Tre anni fa  lo scrivere è stato come versarmi da bere, e dissetarmi. Troppe cose nello spazio di poco tempo, troppo dolore ed estasi intrecciati inesorabilmente.
Il comporre mi ha aiutato a rendere tutto più morbido e circolare. Mi  rendo conto ora più che mai quanto sia importante per me avere il dono di poter ritrovarmi nell’ atto della scrittura.
Questa seconda parte forse riprenderà là dove sono giunto ad un termine….
Ho iniziato a disegnare un cerchio, e non so più dove inizia e dove finisce. Semplicemente scrivo e rifletto in questa interminabile ed infinita giostra che è la Vita.

                                                                                                                                                                                  

                                                           Roma 22 /4 / 09

 

                                 La  paura

Qualche giorno fa ho fatto un sogno particolare.

Un energia che successivamente ho identificato come Tara Bianca scendeva su di me lasciandomi   dei doni: La saggezza trascendente, la chiarezza, e la benevolenza. Ero nel sogno, dotato di poteri particolari, facevo dei balzi altissimi, e nonostante la presenza di un uomo malvagio che cercava di uccidermi, la mia essenza era imprendibile…come l’ acqua.

Al mattino dopo un caffè amaro come è di mia consuetudine per la colazione, mi sono seduto in zazen.

Trenta minuti di completa sbadataggine, con i soliti pensieri che si affacciano nella mente, quando il sogno  mi è tornato in mente, portando con sé i benefici per una meditazione profonda  mostrandomi i cinque aggregati nella loro vacuità, e l’ universo intero  come un cuore pulsante che  vibra tra la forma e il vuoto manifestandosi di continuo.

Potrebbe sembrare a prima vista un punto di arrivo, un degno finale per una ricerca che sembrava non essersi mai conclusa,  ma so che per quanti satori possano realizzarsi nella coscienza, l’ impermanenza continua, e solo l’ armonia con questa dimensione di Essere nel Tempo può rendermi sereno e fluente come l’ acqua.

Mi chiedo in questo romanzo della mia vita come possa rendermi utile. Utile ad un’ umanità così sofferente, così lacerata da profondi disagi mentali, materiali, spirituali ed economici. Più ricevo dall’ ordine cosmico ( dovrei scrivere più sono in armonia ) e più in me nasce una spinta naturale al non trattenere nulla, e vivere come un’ antenna che riceve e trasmette i segnali che le giungono dallo spazio. In realtà in questa spinta esiste una duplice funzione, la prima che è quella del dono, la seconda invece nasce dalla necessità di esprimere, e creare  una specie di interfaccia; un sistema che possa permettermi di esteriorizzare tutto ciò che si muove, nasce, cresce e muore in me.

Per molto tempo sono stato bloccato dalla paura. Una paura espressa con la contro fobia classica del sesto enneatipo. Ma non solo, una paura condizionata dal giudizio dell’ altro.

Se esprimiamo noi stessi nell’ autenticità, questa modalità di espressione, da non confondere con la spontaneità o l’ istinto può essere di aiuto all’ altro, ma poiché viviamo di relazioni dove il sintomo  nevrotico è il padrone di casa molto spesso suscitiamo invidia e critiche.

Questo punto, fin quando non l’ ho capito, nel senso del mangiato digerito e assimilato  è stato per me un’ ostacolo alla mia crescita.

Lungi dal ritenermi compiuto, sia ora che nel passato, la dove l’ orgoglio e la reazione spesso diventavano armi di difesa, non ho saputo creare quel senso di fluidità che l’ azione richiedeva. Così l’ autenticità veniva soppressa dalla paura, e la paura stessa diventava l’ espressione che copriva la rabbia, la tristezza e il senso di solitudine per non sentirmi compreso e accettato.

Ora con l’ integrazione delle varie polarità che mi/ ci contraddistinguono  posso essere autentico.

Forte e fragile, maschile e femminile, buono e cattivo e così via dicendo…

L’ errore commesso nel passato non era tanto del non essere “vero” ma quello di coprire per mancanza di fiducia e fede in me stesso e nell’ ordine cosmico, ciò che ero realmente.

Le intuizioni, cercavano conferma. Una conferma dall’ altro. Spesso questa risposta non veniva, un po’ per gelosia, un po’ per darmi un ‘ insegnamento, e così finivo per rimanere intrappolato da relazioni che cercavano nel bisogno d’ amore la chiave per la serenità.

Ho trovato una poesia bellissima di Nelson Mandela  si chiama: “La nostra paura”.

La nostra paura   

 

La nostra paura più profonda non è quella di essere incapaci.
La nostra paura,la più profonda,
E' di essere potenti oltre ogni misura.
E' la nostra luce, non la nostra ombra che ci spaventa di più.
Noi ci domandiamo:
"Chi sono io per essere brillante, magnifico,
Pieno di talenti e favoloso ?"
Infatti, chi siete voi per non esserlo ?
Voi siete figli di Dio.
Mantenere un basso profilo non rende un servizio al mondo.
Non c'è niente di saggio nel ritrarsi dalla propria sorte
Perché gli altri non si sentano in pericolo a causa vostra.
Noi siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi.
Essa è in ognuno di noi.
E se lasciamo la nostra luce brillare,
Noi doniamo di conseguenza agli altri
Il permesso di fare lo stesso.
Nel momento in cui noi ci siamo liberati dalle nostre paure,
La nostra presenza libera automaticamente gli altri. 

E’ una poesia che mi è arrivata leggendo un libro molto bello, “ I fiori del fuoco “.

Le cose, gli oggetti, le persone, i libri arrivano a noi quando siamo pronti per riceverli, infatti questo libro l’ ho trovato all ‘ interno della scenografia di uno studio televisivo, mentre stavo lavorando.

Appena  letto il componimento di Mandela, mi sono venuti i brividi. Così ho deciso si copiarla e spedirla ad alcuni amici.

Allo stesso modo e con la stessa forza ed intensità, ho ricevuto un grande insegnamento.

La mia paura.

Già lo avevo trattato come argomento nella prima edizione,  ed ora mi ritrovo ad ospitare  nuovamente il suo significato all’ interno della nostra vita.

Pensate quanta forza ha, quanta presa suscita in noi, e pensate a quanti evitamenti, resistenze e quanta energia impieghiamo per mantenere lo status quo del nostro organismo.

Se solo fossimo nella condizione di liberarci dai suoi tentacoli, troveremmo all’ interno del nostro sistema psico-fisico un’ immensa energia, che potrebbe essere utilizzata per tante altre cose. Per l’ amore, per lo sport, per, per per…già sembra una moltiplicazione continua, una moltiplicazione di problemi su problemi, in direzione di una esistenza lacerata e confusa.

Comunque visto e considerato l’ argomento, e la sua importanza concludo il ragionamento dando alla paura l’ elogio del coraggio.Coraggio per affrontare la vita e le sue sfide. Prima di chiudere il ragionamento vorrei però sottolineare che la paura è sempre paura di qualcosa. Non possiamo generalizzarla, poiché proprio la sua generalizzazione ne impedisce la trasformazione. Ogni qualvolta che siamo nella paura, prendiamo consapevolezza del nostro corpo e mettiamoci in ascolto. Chiediamoci dove è, come è e cosa riguarda nello specifico.Il rischio è quello di creare altrimenti un demone informe e imprendibile, invece se apprendiamo l’ ascolto profondo di noi stessi, possiamo identificare meglio su quale aerea specifica sta agendo questa emozione.  E con questo a proposito dell’ integrazione delle polarità metto la parola fine citando il castello della Gendronniere e il nome che porta: Il castello della “Non paura”.

La speranza è che ognuno di noi possa attraversare il fiume della vita e continuare il cammino verso l ‘infinito.

                                            Arti Marziali

Finalmente posso scrivere di un’ argomento che da sempre mi ha affascinato, e che pratico continuamente da tre anni, dopo una lunga pausa in cui altri sport ne avevano preso il posto.

Do per scontato che quello che sto per scrivere, attirerà le critiche dei puristi. I sapienti dell’ insegnamento trasmesso si sentiranno offesi, ma nel mio cuore sò che la Verità è questa.

Essa mi parla. Mi parla attraverso la Natura, quando vado sul monte Soratte ad allenarmi; i fiori, gli alberi, le rocce ne sono i testimoni, o forse dovrei scrivere che io divento il testimone della Natura.

Comunica con me quando mi siedo silenzioso nei torrenti e divento Uno con l’ acqua, quando la beatitudine si fonde con il respiro del Cosmo, o il profumo delle piante mi arriva alle narici non conoscendone la provenienza. Mi parla quando l’ allenamento isometrico si armonizza con la respirazione, e le forme che nascono dall’ inconscio prendono vita nei gesti, e nei movimenti a volte forti altre volte gentili che il corpo assume nell’ armonia.

Proprio da qui lo spunto per tornare a scrivere di nuovo, e rispondere ad una richiesta sempre più impellente che spinge dal dentro al fuori.

Io pratico l’ arte della  “Chouwa no Michi”.

L’ arte dell’ Armonia della Via. Spesso la gente mi domanda che cosa fai ? Che disciplina pratichi ? In cosa ti addestri ? Allora sento di riflesso alla domanda. Kung fu, Karatè. Wu shu, Tae kwon do, Jet kun do, Tai chi Chuan, etc etc. Io rimango in silenzio, e semplicemente quando mi sento di dare una risposta dico : “ Mi addestro alle arti marziali”.

Un collega di lavoro mi ha detto l’ altro giorno. “Dovresti confrontarti con qualcuno, e combattere con un Maestro possibilmente, per capire a che livello stai”…Allora cerco di fare alcune precisazioni. Precisazioni del tutto personali, ma altrettanto necessarie.

Primo: Io non combatto e non mi addestro per vincere o perdere.

Con questo non voglio dire che il confronto sia  utile, anzi quando ho la possibilità di allenarmi con qualcuno sono ben felice di apprendere nuove tecniche e nuove forme; aggiungo  non posseggo la conoscenza delle arti marziali, e non  mi sento il più forte.

Esiste una differenza, ed è: Uno è sport l’ altra è una disciplina, una Via.

Considerata la  mia età,  (45 anni) mi alleno con disciplina: ho elaborato tecniche ed esercizi a mani nude, con i nunchaku, con il bastone, condizionamento delle mani, forme di stile interno ed esterno, respirazione dolce e armoniosa. Forme che al momento non hanno nome, (come se il nome poetico della lingua cinese, o spirituale dell’ idioma giapponese possano dare una maggior importanza a ciò che faccio), forme semplici di pochi movimenti,o complesse dove l’ esercizio ha una decorso di molti minuti. Tutti sono impressi nella mente. Così ogni giorno scrivo e riscrivo nella memoria i movimenti, che se pur nascono in maniera creativa necessitano di un esercizio quotidiano e ripetuto fino alla monotonia

Secondo: Mi si dirà che comunque il confronto serve a stabilire una gerarchia di valori, e che le arti marziali se non vengono usate per il combattimento perdono di significato.

Questo in parte è vero, ma rispondo a tale domanda.

Chi è il nostro peggior nemico ?

Se non sono capace di trasformare gli stati subdoli e nocivi della mente. Gli stati della paura dell’odio, della rabbia, della violenza, e dell’ orgoglio senza coltivare l’ umiltà, la generosità, la pazienza, ho già perso.

In un combattimento posso vincere e/o perdere. E il risultato stabilisce il vincitore, il più forte, ma questo discorso non mi interessa. Per quanto come maschio non nascondo l’ ebbrezza della lotta.

E’ qualcosa di atavico, che risuona in me come una voce che urla in una caverna. L’eco è come l’ antagonismo verso l’ altro, il nemico. Noi maschi in generale viviamo la competizione come un elemento fondamentale del nostro comportamento. Il driver maschile è guidato dalla lotta, dalla caccia, dal consolidamento e possesso del territorio, e molto spesso nel prendere sulla natura un certo dominio. Il senso di orientamento più o meno spiccato nasce proprio dall’ esigenza di tale driver ma questo stato di aggressività naturale non và ne nascosto e ne tanto meno esaltato.

L’ aspetto selvatico dell’ uomo necessita il nutrimento. Tanto più lo abbandoniamo tanto più siamo alla sua mercé. Allo stesso modo se lasciamo che prenda il sopravvento sulla nostra esistenza, la nostra dimensione umana scompare nel bieco atto di violenza e sopraffazione.

L’ aggressività che è una parte integrante fondamentale per la nostra crescita, non deve essere soppressa. La soppressione di una componente così decisiva per lo sviluppo dell uomo, scatena meccanismi nevrotici, pulsioni distruttive, sindromi paranoidi, e a livello globale conflitti sempre più grandi che trovano nella guerra la loro risoluzione drastica. Ma l’ aggressività deve essere una combattività sana, che ha il suo significato nel affrontare la vita con la giusta determinazione e coraggio. Citando Fritz Perls…. “affondando i denti nel cibo tagliandolo, triturandolo, fino alla sua macerazione per essere assimilato, digerito, ed infine espulso la dove non è stato capace di portarci il nutrimento che necessita il nostro organismo”. ( L’Io, la fame e l’ aggressività)

Terzo: Ne parlo per ultimo ma non per questo perché sia meno importante anzi.

Questo punto è un punto di notevole peso e forse il più controverso.

Quello che maggiormente lascia perplessi nelle persone è il  fatto che mi addestri da solo, senza la guida di un Maestro.

Questa considerazione secondo me viene dalla mancanza di contatto con noi stessi, e dal fatto di non aver fede nell’ ordine cosmico. E’ vero che per quanto mi riguarda ho una certa attitudine per lo sport in generale, è vero anche che da ragazzo ho praticato il Kung fu per diversi anni, ma ad una attenta valutazione dei fatti, cioè per una visione oggettiva e non condizionata dal soggetto, questa critica nasce da un senso di estraneità con il nostro corpo/ mente.

Un Maestro è certamente una grande opportunità di incontro nella vita, ma la delega che al maestro facciamo è una delegittimazione al nostro  senso di responsabilità, per una vita più sana e consapevole, e ancor più grave un’ allontanamento a quello che proprio i maestri dicono e insegnano, cioè diventa il Maestro di te stesso, oppure ascolta il Tuo maestro interiore.

Se siamo d’ accordo su questo punto decade la critica, e con essa l’ osservazione che mi viene rivolta.

Forse non diventerò un campione, il Bruce Lee moderno, tanto per citare il più famoso, rimarrò un mediocre praticante di arti marziali, ma anche in questo senso non do alla cosa nessuna importanza.

Quello che sto cercando di dire è: Abbiate fiducia in voi stessi. Ascoltate il corpo che parla che chiede aiuto che esprime la bellezza della forma. Non abbiate paura di essere quello che siete.

Siate naturali, autentici e tutto andrà per il meglio. Che voi siate degli artisti, dei musicisti, pittori, scultori, poeti non ha importanza. Ciò che importa è l’ espressione di voi stessi al di là del risultato e della meta.

Vorrei aggiungere a queste considerazioni cosa ho scritto un paio di anni fa in una lettera altresì  polemica se vogliamo, come risposta a delle critiche ricevute riguardanti l’espressione di noi stessi, e su quanto sia importante  per me la ricerca come approccio filosofico alla vita stessa.  

                                 Odisseo

Le ultime vicende, non mi sono indifferenti.

Così come non sono indifferente al mutare.

Sono arrivato ad una considerazione, che lungi da considerarla come definitiva, in questo momento mi rasserena sul percorso intrapreso.

Quello che realmente vivo e lo dimostra il mio continuo pellegrinare, Odisseo nella vita, è la continua ricerca. L’ esperienza vissuta in se per se.

Nel momento stesso in cui abbandono la meta, ponendo come destinazione  la conoscenza diretta, la trasformazione, l’ atto in cui essa stessa si compie e termina, in un eterno forse immutabile nel cambiamento, ogni momento del viaggio è reso a se stesso diciamo compiuto.

L’ ideale è  nell’ astratto. Ne sono consapevole.

L’ideale se portato all’ estremo conduce alla follia.

Ma non è forse nell’ ideale che si sono compiute le maggiori opere dell’ umanità.

Dove sarebbe l’ arte, la musica, la pittura, la poesia, la fratellanza e l’ Amore tra corpo e  “anima” se non fossero li pronti ad inseguire un ideale.

Non era forse  un idealista il Buddha ?

Io penso di si. E come lui tutti i più grandi esponenti dell’ uomo hanno reso all’ ideale la loro vita intera.

Se così non fosse, non potremmo riunirci in un Sangha, non potremmo ammirare  opere di capolavoro artistico in perenne equilibrio, nella tensione estrema ma armoniosa tra cielo e terra tra spazio e tempo, tra follia e realtà.

L’ ideale diventa follia se viene considerato il punto ultimo di un qualsiasi momento.

Che sia creativo, spirituale, dei sensi. Esso allora ci pone nella condanna di una sottomissione forzata. Un padrone tiranno che ci lega a se.

Ma nell’ ombra di Dio agisce il folle, colui che vede, sente, percepisce quello che agli altri è precluso. Le sensazioni le emozioni si tramutano in Arte, la sofferenza psichica è devastante.

Volando più bassi, mantenendo il contatto con la realtà, con i nostri limiti imposti, possiamo però sottrarre all’ esperienza la meta, il traguardo, la conclusione, trasformando il qui e ora nell’apogeo che nasce cresce e muore attraverso il contatto emozionale.

Il lavoro che sto compiendo su me stesso, sempre in bilico tra la solitudine e la necessità di comunicare, tra la sensibilità e la poesia, tra la gioia e la tristezza, comincia a prendere una forma concreta.

Il corpo finalmente diviene lo strumento, come ogni aggregato.

Di questo strumento finemente modellato non più fine a se stesso, ma in unità con il musicista che lo accarezza, percuote, e ne misura di volta in volta i confini, non rimane traccia.

Non rimane ombra perché esso stesso è cambiamento, ma in fin dei conti perché si è liberato dall’ orpello del compimento.

In me esiste la forza di continuare non un ideale ma un progetto che include l’ideale.Un progetto di esperienza. Che poi non è altro che la memoria dell’ emozione al suo contatto.

Lo riconosco che è stato un viaggio fino ad ora arduo, a volte ostile, minaccioso e pericoloso.

So per memoria che alcuni sentieri sono distruttivi, li riconosco dal loro colore, dal profumo suadente e sensuale che sprigionano, altri come un lago placido di montagna raccolgono i sensi cullandoli nella pace e serenità, ed altri ancora liberano l’ intero essere nelle vette dove dimorano gli Dei.

Ma nessuno di essi raccoglie la parola fine, e attraverso la vita nella  leggerezza, fedele ai miei principi, onesto a me stesso e agli altri.

Nessuno di essi si assume  la responsabilità di giungere ad una conclusione, poiché in definitiva sono vacui,  privi dell’ elemento centrale che ne costituisce il padrone.

Non c’è in essi un io che si muove per mezzo loro. Sarebbe la peggiore delle prigioni, il confine di un esitare, di un desiderio di una brama senza fine.

Brama di perpetuare all’infinito la sete dell’esistenza, del riesistere, poiché sempre nel tentativo assente di quantificare, afferrare, chiudere.

Sottrarre e non aggiungere.

Sottrarre a se stessi l’ idea del compiuto, anche se poi le cose si compiono,e le esperienze si    attuano nel compimento.

Attraversare  guadare la vita, la morte.

Arti marziali, arti meditative arti….. e andare sempre aldilà dell’ aldilà.

La meta non esiste, l’ideale è l’astratto, tuttavia essi stessi si  completano  forse per un attimo, ma solamente nel momento stesso a cui togliamo loro la raffigurazione della permanenza.”

 

Mi viene da sorridere rileggendola. A volte mi domando se sia stato proprio io a scrivere così. Tra le righe è presente la rabbia.

Allora rispondevo con  animosità a certi discorsi, allo stato attuale rispondo serenamente con un sorriso sulle labbra.

Per concludere questo capitolo vorrei ancora sottolineare quanto sia di vitale importanza il prendere contatto con il nostro organismo riconoscendolo come l’ unica possibilità che abbiamo ricevuto dall’ universo per essere vivi e presenti nel qui e ora. Non lasciamo che il tempo ci consumi per arrivare ad uno stato dove il ki è talmente basso da non permetterci più nessun tipo di ricerca e crescita. Siate vigili e abbiate fede, chiedete e vi sarà dato.

 

              Adolescenti                                               

Quando ero bambino,    
 mi prendevano    sempre un gelato al limone.
Avrei voluto dire
..panna e cioccolato.
  
 A volte ti penso,
come quel gelato,                                                                       
 ma le parole                           
rimangono nel silenzio.

        

                 

 Studente  di 15 anni si lancia dalla  finestra  del liceo….

 Nove ragazzi su 10 bevono in discoteca o nei pub durante il weekend e molti, troppi, alla ricerca di uno sballo a basso costo. Un’esperienza che coinvolge il 64,8% dei ragazzi e il 34% delle ragazze con un allarmante picco per i minorenni: il 42% dei ragazzi e il 21% delle ragazze che bevono sino ad ubriacarsi ha meno di 18 anni

Ceprano - Tra sabato e domenica, è scoppiata una rissa tra alcuni giovanissimi in un locale che si trova nei pressi di piazza Martiri di via Fani, in pieno centro storico del paese. Probabilmente per delle occhiate insistenti ad una ragazza del luogo, sarebbe nata una lite tra alcuni giovani di Ceprano e due adolescenti di Pontecorvo.

Ancora stupri, a Roma e Bologna. Ieri pomeriggio, nella capitale, una ragazza di 14 anni è stata violentata e il fidanzato 16enne, picchiato da due stranieri, che li hanno anche derubati dei cellulari. Venerdì sera, nel capoluogo emiliano, arrestato in flagranza di reato un tunisino 32enne che aveva stuprato una 15enne in strada.

Adolescenti, boom di «condotte irregolari»

Raddoppiati in 4 anni i provvedimenti verso i minori:
maltrattamenti, minacce, danneggiamenti, bullismo

                                                              Tutte le notizie sono del 24 aprile 2009

Sono due giorni che sento un profondo disagio.

A volte non sono proprio solare come è di consueto. Ieri mi hanno detto: “ Sei l’ ombra di te stesso”. Errore sono l’ ombra punto e basta. Non mi nascondo dietro il falso sorriso,  se non sento la compassione non la esprimo, sono nella naturalezza di esprimere attraverso il viso, e il silenzio, quello che sento interiormente.

Perché nascondersi dietro una bella facciata di perbenismo. La compassione sorge quando siamo nell’amore, ma se rimaniamo imprigionati nei nostri aspetti oscuri, non siamo nella possibilità di esprimere la benevolenza. Ho faticato molto ad integrare le polarità controverse dell’ essere umano. Spesso vorremmo per noi, pace, amore, felicità, sesso soldi e salute, e invece ci troviamo a vivere nell’ ignoranza, nell’ odio, e impantanati in desideri oscuri, pervasi di violenza, incesto, morte, e sessualità deviata. Chi non ha mai fatto sogni osceni, chi non ha mai desiderato la moglie del suo amico, o uccidere il padre, ecc etc.  In noi esistono anche questi aspetti. Sono come le nuvole bianche che coprono il cielo immenso. Quando mi trovo a vivere uno di questi stati di dolore e sofferenza, li vivo fino in fondo, senza nascondermi, senza scappare da essi. Quello che invece faccio, è l’ attraversamento del fiume. Così a volte annego, altre volte riemergo, ma in sostanza queste nuvole sono uno specchio in cui si riflette il cielo.

Un padre, o una madre per imparare ad educare i propri figli dovrebbe immergersi nella vita, senza averne paura. Come possiamo fornire gli strumenti necessari ai nostri figli se noi per primi siamo fuggiti dall’ ignoto ? Come possiamo insegnarli l’ amore se noi stessi siamo nel bisogno del loro amore ? Se mi guardo attorno vedo genitori spaventati del loro ruolo di educatori, incapaci di dare ai loro figli la sana frustrazione della crescita, incapaci di dire no, e nello stesso tempo vedo padri impauriti, uomini impauriti, e madri sole; donne che hanno perso il fascino misterioso dell’ essere donna.

L’ adolescenza è un’ età difficile. Ad un certo punto cominciamo a staccarci dai nostri genitori, e ci mettiamo nella condizione di scrivere la nostra storia.

E’ una storia che non ha memoria, che non ha futuro, è come una pagina bianca che va scritta giorno dopo giorno. La nostra identità è fragile, proprio perché non ha memoria ed è proprio per questo motivo che nell ‘adolescenza esiste tanta sofferenza e disperazione. In questa società nichilista dove l’ essere è confuso con il  “mi faccio vedere “ esibendo un’ aspetto esteriore di me  i giovani non hanno futuro. Esiste una televisione che offre solo mercificazione dei valori, il singolo non ha più valore, la sensibilità e la gentilezza sono visti come debolezza: Come può un’adolescente crescere sano ?. Il gruppo diventa lo specchio della forza coatta, là dove il singolo trema, il gruppo ne esce vittorioso, l’ alcool riduce l’ ansia, ma poi  il silenzio ingoia il terrore della solitudine,del disagio interiore e arriva la crisi di identità, del non sentirsi a proprio agio con il corpo e con la mente.

I giovani sono il nostro futuro. Il futuro dell’ umanità. Cosa stiamo lasciando a questo futuro ?

Nichilismo è l parola più appropriata.

Questa notte nei sogni, molti mostri sono venuti in superficie. Sangue e freaks. Demoni maestosi e deformi hanno occupato la coscienza dormiente. Prima di addormentarmi ho fatto sanpai ( le tre prostrazioni ) davanti al Buddha che ho nello zendo in casa. 


Oh Sacra Impermanenza

Vuoto cosmico.

Il mare e le onde

Maestro e discepolo

Il maestro che è in me è il mare e questo piccolo ego è l’ onda. Non c’è separazione, come non c’è nessuna separazione tra me e il mio Maestro che pazientemente guida i monaci nello zazen.

Esiste una realtà, una profonda essenza che è al di là del cambiamento, non posso esprimerla, non ne posso parlare, e tutti i tentativi di afferrarne l’ unicità si confondono nell’ intelletto.

Mi si apre il cuore mentre scrivo queste frasi, così allo stesso modo sento il cuore chiudersi dinnanzi alla sofferenza.

In questi giorni notizie terribili:

“ Bambini seviziati e torturati, filmati e mandati su internet”

“ La febbre suina che può diventare una pandemia “

A volte mentre torno a casa di notte, e attraverso le strade di campagna silenziose e buie vorrei piangere…

Pur conoscendo la verità, e la trasformazione dei fenomeni, come aspetto di natura di Buddha, non posso esimermi di vivere il dolore del mondo. E’ un grido lacerante che opprime il cuore, riportandomi al presente e ai miei voti di Bodhisattva.

La domanda è come aiutare ?

Siamo in grado di offrire aiuto a chi soffre ?

Per rispondere a queste domande,mi sono iscritto ad un corso triennale per diventare counselor.

E’ un percorso  non semplice,  oltre modo utile.

Deontologicamente parlando è stata una scelta che mi è servita per essere in grado di aiutare ( in quanto responsabile di un gruppo di meditazione ) le persone che vengono a praticare lo zazen, senza rimanere intrappolato nei meccanismi che la relazione richiede, e né tanto meno nell’illusione di sentirmi maestro e/o realizzato.

Oltre questo ho deciso in questi anni di studio, di dedicarmi agli adolescenti, seguendo alla fine del triennio un corso di due anni per specializzarmi in questo campo.

Dedicarsi agli adolescenti non penso che sia facile. Molto spesso portiamo il nostro mondo come termini di paragone, e così facendo non entriamo nella relazione dell Io-Tu. Mettersi in gioco crescere insieme, amarsi, condividere e fornire gli strumenti adeguati, perché l’ altro cresca con i suoi tempi e le sue risorse  è fondamentale, ma perché ciò avvenga dobbiamo buttare via le nostre maschere, le nostre proiezioni ed entrare nel mondo di chi ci sta di fronte.

Un ragazzo o ragazza  di età adolescente ha bisogno innanzi tutto di essere ascoltato/a. Comprendere e condividere i problemi, ascoltare ed esserci profondamente senza presupposti sono le condizioni di base che la scuola mi sta insegnando.

Ma queste sono lezioni teoriche, la realtà ha delle sfaccettature ben diverse se non imprevedibili.

Posso far riferimento alla mia di adolescenza, e al dolore che ne è conseguito.Il gelato al limone è una espressione figurata di mancanza di amore, una metafora di solitudine e tristezza che negli anni mi ha forgiato come uomo senza farmi dimenticare il bambino che è in me. Tuttavia  pur avendo un passato terribile riconosco che questo è il mio passato, e che appartiene solo a me, quindi in una relazione d’ aiuto può essere importante ma fino ad un certo punto.

 

                              Smarrimento

Mi colpisce

Questo senso di inutilità.

E i fantasmi che si agitano.

Uomo.

… Vedo lontano

gabbiani che volano,

e ombre di ali

svanire nel cielo.

Lontano dal divenire

E dai colori chela primavera,

dipinge.

Qual’ cosa mi sfugge

E capisco che vorrei afferrare…

Un senso di inutilità mi pervade

Portando con sé attimi di smarrimento

 

                          

                                  Maschera

Quale maschera indosso ?

Il nulla mi appartiene

E mi nascondo.

Fuggo lontano,

mentre il fuoco brucia.

I vermi cammineranno su questo corpo putrido

E ancora fuggo.

Cerco l’ essenza che è in me

Ma non la trovo,

perché lo sguardo si distrae

la fuori dal dolore..

Siedo e respiro

La vita è qui e ora

 

                                   Autunno

Sarebbe rimasta ancora la rondine

A volar nelle alte scogliere

Adornate dal sole.

Ma è arrivato l’autunno.



                                                Inverno


Fredda è la sera,
e il silenzio vacuo è come il vento di inverno.
Niente fiori sugli alberi, in primavera  i primi boccioli






                   
Mi fa male il culo dopo otto ore di zazen. 
Mi annoio di me stesso, e mi irrita il corpo che suda.
Vorrei grattarmi come un lebbroso  per tutti i pensieri che sorgono.
Sudo, ingoio saliva in silenzio, e questo silenzio però è solo fuori di me.

Rimango sullo zafu, come un ape sul fiore,
e  di quanti fiori vorrei cibarmi solo il mio ego lo sa.

Non è detto che accadano cose meravigliose,
e nemmeno eventi straordinari.
Può capitarmi la samadhi,
e barlumi di vacuità.
Semplicemente così come è.                        Dialoghi


                                                          Marco

Un sottile  legame ci unisce
Un filo rosso e un fiore bianco.
Sei morto e io sono qui.
Tra ricordi e speranza
Nella meravigliosa danza dell’eterna amicizia.




Note 

                                     

Bodaishin: La mente più       elevata, la mente del risveglio, lo spirito della Via. Senza questo spirito di risveglio lo zazen diventa una competizione, un festival, e non si può continuare. Ma se si possiede bodaishin, la pratica si trasforma nel più alto spirito religioso.Nella storia i grandi uomini, i santi, i saggi hanno capito che il loro potere non era molto vasto e proprio per il fatto d’aver capito questo sono diventati veramente grandi, per questo hanno ricevuto la vita cosmica, universale. ( Taisen Deshimaru )

1) Quattro nobili verità
1         La Sofferenza : "Ma che cosa , O monaci , è la nobile verità della sofferenza? Nascita è sofferenza, decadimento è sofferenza, morte è sofferenza; pena, lamento, dolore, pianto e disperazione sono sofferenza. In breve , i cinque gruppi di esistenza connessi con l'attaccamento sono sofferenza."
2       La Causa della sofferenza : "Ma che cosa , O monaci , è la nobile verità dell'origine della sofferenza? E' quel desiderio che da origine a nuove rinascite e , unito a lussuria e avidità, ora qui e ora lì, trova sempre nuove delizie .E' il desiderio sensuale, il desiderio dell'esistenza,il desiderio per la non esistenza o autonnicchilimento."
3      La Cessazione della sofferenza : "Ma che cosa , O monaci, è la nobile verità dell'Estinzione della Sofferenza? E' il completo abbandono e estinzione di questo desiderio, dimenticato completamente e lasciato , la liberazione e il distacco da esso."
4       La Via per ottenere la cessazione della sofferenza : "Ma che cosa , O monaci, è la nobile verità della via per ottenere la Cessazione della Sofferenza? E' il nobile ottuplice sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza :
1        Giusta Visione
2        Giusto Pensiero
3        Giusto Discorso
4      Giusta Azione
5      Giusto Modo di Vita
6        Giusto Sforzo
7      Giusta Attenzione
Giusta Concentrazione

2)       Dogen zenji: ( 1200-1253) Maestro giapponese, I° Patriarca in Giappone, e fondatore dello zen soto.

3)   Genjo Koan: Fa parte dello Shobogenzo (Capitolo I), l'opera in 95 capitoli che viene considerata la più importante di Dogen zenji e una delle più importanti nell'ambito del Buddhismo giapponese.La caratteristica del Genjo koan è quella di essere un testo breve, relativamente semplice che però tocca i punti più importanti dell'insegnamento del maestro. Ciò è forse dovuto al fatto che fu scritto per un discepolo laico e quindi doveva essere comprensibile ed esaustivo,cioè alla portata di una persona che non aveva grande dimestichezza con le sottigliezze della dottrina.Queste caratteristiche resero questo testo molto popolare anche al di fuori della scuola zen Soto che fu appunto fondata da Dogen zenji, ancora oggi largamente diffusa e vitale nel Giappone moderno.
4) Soto-zen:(曹洞宗; in giapponese: Sōtō - shū, in cinese: Caodong-zong) è una delle due maggiori scuole giapponesi del buddismo zen, inaugurata dal monaco giapponese  Eihei Dogen nel 1227, in seguito ad un viaggio in Cina. Rispetto alla scuola zen precedente  ( 臨済宗; Linji-zong, tradotta in giapponese come Rinzai – shū )  , dà maggiore importanza alla meditazione seduta, o zazen, rispetto allo studio dei testi sacri o alla risoluzione dei koan.

5)Buddha: Buddha Gautama (Kapilavastu, attuale Nepal 563 ca-486 ca. a.C.), fondatore del buddhismo. Il suo patronimico, nome del Buddha storico, è Gautama, mentre l'epiteto Buddha significa "l'Illuminato, il Risvegliato"

6) Dharma: Indica gli insegnamenti del Buddha sull’ origine della sofferenza, o la pratica di tali insegnamenti, e di conseguenza ilo Buddhismo stesso. Il Dharma, è una legge universale che regola il funzionamento del mondo,e che il Buddhismo si impegna  di trasmettere e spiegare, sin dal primo discorso pubblico del Buddha

7)Sangha: è storicamente la Comunità dei Monaci Buddhisti; essa, per essere chiamata Sangha, deve essere composta da almeno Quattro Monaci .

8)Skanda: I 5 Aggregati [i.e. forma, sensazione, percezione, volizione e residui karmici, e coscienza] si uniscono a formare una unità interdipendente . Questa unità combinata è instabile e mutante , ma noi ci attacchiamo a questa interdipendente unità e/o ai 5 aggregati come al Sè.  Il primo skanda rappresenta gli elementi fisici, e i rimanenti 4 rappresentano le attività mentali di una persona.